Per prima cosa l’odore. Le secrezioni della stronza appartengono alla categoria del memento, miscellanea di pelli che si accoppiano con i fumi delle pietre filosofali, pasticcio di fiori, saliva d’api e piscio. Ecco, non puoi non accorgerti del suo arrivo, del suo rimanere e della sua ripartenza. Il marchio che sanguina dentro la cartilagine, tra il volto e l’osso, non si rimarginerà mai più, dimenticato dal presente e dalla famelica fame che inzuppa l’anima. Sbatti la testa contro muri di fiele, ti contorci in fondo al tuo insano dolore. Ma lui è li, pronto a ricordarti che non puoi fuggire, non puoi saltare oltre la linea del tuo territorio oramai marchiato dalle sue secrezioni. Resti immobile, silente – aspetti che tutta passa, ma non passa mai, come non passa più il treno su questa inesistente ferrovia, percorsa da passaggi a livello abbandonati dal ricordo, rotaie storte che paiono dritte, ma solo perché tu attendi, aspetti quello che passa, ma tanto non passa – sotto la pioggia con mille ombrelli che non coprono neppure un pezzo di cuore. Sì, l’odore della stronza. Poi si muove, dondola la stronza, al contrario dinnanzi a te. Fai di tutto per raddrizzare lo sguardo, ti pieghi girando la schiena verso il culo del tramonto. Ma lei è sempre contraria al tuo orizzonte, sembra una brocca di gomma pane appena tiepida, rabberciata con lo spago della memoria, i buchi riempiti con gli stracci del trapassato remoto. Cammina la stronza, ma è ferma di fronte agli occhi di tutti. Meno per i tuoi. Meno per i miei. Meno per i suoi. Ipnotica come lo sguardo del serpente, quello ancora da scoprire, quello ancora da trovare, da inventare, d’amare. La stronza è al contrario, ma incede da vicino. Adesso straiati, poggia l’orecchio sulla terra, su un masso, sulla sabbia del lago. Senti il suono, il rumore impercettibile che ti buca la mente, che rende poltiglia l’orecchio? Bene, quella è la sua voce, il rumore che fa il cuore quando s’accoppia con il cuore. L’urlo stridulo che schiaccia inesorabilmente tutte le tue convinzioni, le consuetudini e le condizioni imposte da tua madre, prima ancora di farti fuggire fuori dall’utero. La sua voce, o meglio la tua, o ancora meglio la sua, o per non sbagliare quella assordante e muta. Ti masturba lo stomaco, onanismo indotto da onde sonore. La stronza quando parla non parla, è un’onda sinusoidale che taglia la pelle, poi le ossa, i muscoli tutti e infine monta il seme come panna, la prostata nelle sue labbra tormentata con lingua, esplode come vomito acido indotto da una mistura di limone e soda, tu che vomiti sperma ininterrottamente, il sibilo cupissimo che si prende gioco d’ogni speranza. La stronza. Infine come scopa, la stronza. Scopa con una vagina che non è vagina ma fica, fica pura, fica ultima prima di nessuna fica. Immagina l’ultima fica sulla terra, ecco quella! Una dea che di femminile non ha più nulla, ma è ancora di più, più di qualsiasi altra femmina. Come Eva prima di Eva, come Eva subito dopo Eva. La sua fica è perfezione, è Dio travestito da fica. È Dio che trasforma se in Se, e il suo Se è femmina, e femmina e madre, e madre è fica. Tu informe, schiavo assoluto della Madonna che ha la fica al posto del cuore, ti trasformi in pene, solo pene e quindi Cazzo per non morire di pena, un dolore assurdo, sordo come il pianto per il bambino morto, improvvisamente, mentre rideva e scherzava. Sei cazzo e nulla più e lei fica assoluta, assordante il mescolio di umori oltraggiati dal glande infuocato. Le orecchie ridotte a carne sanguinate, mentre adori l’invenzione della femmina, che poi è il creato, che poi se tu stesso travestito da amante, l’unico amante rimasto sulla terra, a sottometterti a l’unica fica rimasta sulla terra. Non respiri più, lei scopa ogni angolo del mondo, tutti i pesci del mare, ogni granello di polvere, ogni pietra fino al precipizio della fine del mondo. Poi esplode, si dispera e riesplode. Tu l’ami, ti disperi e continui ad amarla. Affogato dagli umori tenti di strapparti i polmoni, gettarli via. Sei una carezza anaerobica che riposa nel suo ano. Questo ti basta. Questo non gli basta. Tanto Dio non muore.